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“Io vinco tutti i giorni”. Testimonianza di Carla

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“Io vinco tutti i giorni”. Testimonianza di Carla

18 04 2004 – “Adesso, se vuole, può anche piangere”. È iniziato così. Con un dottore che in un ambulatorio per me anonimo, in una domenica mattina così diversa dalla mia routine, mi ha detto queste parole. Parole che ricordo ancora benissimo, come se le avessi sentite un attimo fa.

In quel momento mi sono sembrate assurde, fuori luogo, anche un po' ciniche, ma è bastato poco per capire che quel pianto sarebbe stato (e lo è stato) terapeutico per me, per me che da quel momento in poi non avrei più avuto tempo per piangere. Dovevo rimettere assieme i pezzi e ricominciare, affrontare la mia nuova realtà. Dovevo imparare a gestirla. A gestirmi.

Avevo ventisei anni e una montagna di progetti. Non avevo alternativa, se non capire cosa fare e come farlo.

Senza dubbio, oggi posso dire di avere avuto la fortuna di incontrare da subito persone estremamente umane, sensibili, oltre che molto preparate.

Per una maniaca del controllo come sono io, conoscere il più possibile il mio nuovo “inquilino” era il primo passo. Fondamentale. Sapere con “chi” avrei avuto a che fare da quel momento in poi mi tranquillizzava. Mi dava la sensazione di controllare quello che stava succedendo. Certo, ancora non potevo immaginare la centralità che la parola “controllo” avrebbe assunto di lì a poco nella mia quotidianità.

Nei dieci giorni di ricovero post diagnosi ho sommerso medici e personale infermieristico con le mie mille domande. Il diabetologo mi regalò un taccuino su cui annotare ogni dubbio, curiosità, paura. Promise di rispondere a tutto prima della dimissione, anche alle domande più banali e scontate. Ovviamente lui mantenne la promessa e, una volta fuori dalla clinica, io mi sentivo pronta. 

Illusa.

Non è stato per niente facile. In quegli anni si usavano ancora le penne precaricate (per fortuna non era già più il tempo delle siringhe monouso e dell’insulina in flaconcini) e la mia terapia constava di due tipi diversi di insulina. Il conteggio dei carboidrati era ancora uno sconosciuto. Si ragionava per equivalenti.

Per circa un anno o poco più ho continuato così: con il mio solito sorriso sempre aperto sul mio viso e un’angoscia opprimente chiusa nel petto. I profili glicemici erano buoni. Il diabetologo soddisfatto. La mia famiglia serena nel vedere il buon compenso raggiunto grazie alla terapia. Io invece mi sentivo marcire dentro.

Marcire.

Una parola fortissima, ma per l’unica in grado di descrivere il mio stato d’animo. Iniziavo a non accettare più le penne. Probabilmente non le avevo nemmeno mai accettate fino in fondo. Quella condizione mi andava stretta. Mi soffocava.  Durante una visita di controllo ho avuto una severa crisi di ipoglicemia. Non era la prima, ma io non avevo mai detto che questa cosa mi succedeva con una certa regolarità. Temevo di deludere le aspettative dei medici, della mia famiglia e nemmeno a me piaceva vedere i valori che non erano quelli sperati. Mi spaventai molto quella volta e dopo essermi ripresa, scoppiai in un pianto che sembrava non dovesse mai finire.  Tuttavia, non servì aggiungere una parola. 

“Tranquilla. Cambiamo tutto”

Ancora una volta, il diabetologo aveva espresso le sue intenzioni con poche parole. Iniziò quel giorno stesso a parlarmi di microinfusori e pompe per insulina. Mi lasciò delle brochure, qualche articolo stampato da Internet affinché potessi cominciare a capire di cosa si trattava e un nuovo taccuino su cui appuntare le mille domande che (era sicuro) mi sarebbero venute. 

Una rivoluzione.

Non c’è altro modo per descrivere cosa è stato il passaggio dalla terapia multi iniettiva al microinfusore. Avevo capito da subito che quegli “affari” grandi come un cellulare avrebbero fatto la differenza. Soprattutto mi fu chiaro il cambio di paradigma: non ero più io a dovermi adattare alla terapia, ma in qualche modo sarebbe stata la terapia ad adattarsi a me.  Mettere il microinfusore è stato il primo passo per una convivenza con un inquilino che, pur restando scomodo, tutto sommato interferiva sempre meno nella mia quotidianità. 

Il “coso” era diventato parte di me, sin da subito. Ho iniziato a studiarne tutte le funzionalità, a leggere i valori che indicava così da imparare a gestire la mia malattia in un modo molto più leggero, con molte meno paure. Soprattutto sentivo che stavo riprendendo il controllo del mio corpo. Riuscivo a capire cosa fare e quando farlo. Cosa mangiare e come correggere i valori. Le mie giornate non erano più scandite dalle punture e dai buchi alle dita. Ogni volta che mi veniva data la possibilità di passare dal mio “coso” a un “coso” più evoluto, tutto diventa sempre più gestibile. Quasi normale. Ora, intendiamoci. Non è che è bastato mettere il microinfusore per cambiare modo di vivere e vedere il diabete. Ancora mi chiedevo “perché a me?”. Il percorso non è stato (alle volte capita anche oggi) affatto facile. Ci sono stati giorni in cui il rifiuto della malattia era più forte di ogni ragione o buon senso che dir si voglia. Ci sono state giornate davvero buie. Mostri che popolavano i miei pensieri. C’è stato un viaggio nell’inferno dell’anoressia. 

Ma anche nelle giornate peggiori, testa – pancia – cuore alla fine facevano pace e io sono sempre riuscita a rimettere il focus sulle cose buone di cui la mia vita è piena. 

Ancora oggi, spesso, mi trovo davanti a sfide, a frustrazioni e malesseri. Forse chi è affetto da DT1 sperimenta queste sensazioni con maggior frequenza, ma alla fine siamo programmati per sopravvivere e tutti troviamo qualcosa a cui vale la pena aggrapparsi per ricominciare a respirare.

È questa la vera lezione. 

Nonostante la convivenza con questo inquilino alle volte un po' ingombrante e prepotente, alla fine del giorno anche “noi” siamo riusciti a fare tutto quello che hanno fatto gli altri. Riuscendo anche a tenere in equilibrio la nostra glicemia. Per arrivare a questa consapevolezza ho attraversato mille tempeste e mille tempeste hanno attraversato me. 

Io oggi ho vinto. Io vinco tutti i giorni.

Ho accettato di scrivere queste righe, perché spero che le mie parole possano ispirare chi, in questo momento sta piangendo come me quella domenica mattina di tanti anni fa.  Se anche solo una mia parola riuscirà ad accendere una piccola luce nel buio di un momento così difficile come una diagnosi di una malattia “cronica e degenerativa”, allora tutto il mio dolore avrà un nuovo valore. Avrà un senso. Sarà servito a qualcosa. Trasformare il mio dolore in qualcosa di buono per gli altri. È questo che mi auguro.

Quella diagnosi che suona come una condanna senza appello, non solo non mi ha tolto niente, ma è stata sprone per diventare più consapevole della mia forza. Ho realizzato buona parte dei progetti che aveva quella giovane donna e oggi, che sono un po' meno giovane, non smetto di pormi nuovi traguardi. Il diabete non mi ha fermato. Mi ha un po' rallentato in qualche momento, ma mi ha poi fatto ripartire più decisa e volitiva di prima.

Io, dopo quel pianto sono tornata a sorridere.

Tu lo farai?

Carla

Carla

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