“È strano, ma il diabete mi ha regalato tanto”. La storia di Camilla
“Sono Camilla e ho il diabete di tipo 1 da quando avevo 3 anni”
Non sono solita presentarmi così, in fondo il diabete non mi definisce come persona, o forse sì? È una domanda che mi sono posta innumerevoli volte.
La diagnosi è arrivata quando ero molto piccola e non ricordo quasi nulla, a dir la verità non ho ricordi nemmeno di brutti momenti. I miei genitori non mi hanno mai trasmesso ansia o paura e nemmeno un vago senso di diversità. Sì, mi sono sentita diversa tante volte, ma non a casa mia. Tutto quello che mi riguardava era “normale”, lavarsi i denti e fare la lenta prima di andare a dormire era ordinaria quotidianità.
Sono cresciuta semplicemente accettando di dover fare qualcosa in più rispetto agli altri per stare bene, non mi feriva nemmeno chi mi prendeva in giro a scuola, perché ero consapevole che in difetto erano loro, di certo non io.
Ad un certo punto, purtroppo, quel qualcosa in più che dovevo fare per la mia salute non era abbastanza: fare quattro o cinque iniezioni al giorno non bastava più per stare bene.
Da ragazzina, tuttavia, non avevo molta voglia di correre dietro al diabete, ma le cose cominciavano a peggiorare ed era necessario un cambiamento.
In ospedale, durante le visite mediche periodiche, mi parlavano spesso di microinfusore e sensore. “Non scherziamo”, mi dicevo; “Faccio le mie iniezioni e la cosa finisce qui!”. I medici, ahimè, non erano per niente soddisfatti e cercavano di farmi capire l’importanza di prendere un’altra direzione, allora decisi di farlo a modo mio.
Presi in mano la situazione e cercai di mettere il focus delle mie giornate sul cosa perfezionare: calcoli su calcoli, diari perfettamente compilati, alimentazione iper-controllata, sport e tanto impegno.
“Sto facendo l’impossibile, mi sto impegnando seriamente e sono certa che la situazione piano piano migliorerà”, pensavo. Ed era proprio dietro questa bugia, purtroppo, che si nascondeva la mia non accettazione, non del diabete, ma della terapia. Perché in fondo sapevo che la soluzione era un’altra, aveva un nome e un cognome: microinfusore e sensore. Quello è stato uno dei periodi più difficili e frustranti della mia vita, non vedevo vie d’uscita e tutto quello che provavo a fare non era comunque abbastanza. Riuscite ad immaginare lo sconforto?
Dopo qualche anno, qualcosa è cambiato nella mia testa, è stata una concomitanza di circostanze favorevoli: sono maturata, ho compreso che i miei ingenti sforzi dovevano incanalarsi in un’altra strada, ho trovato un medico che ha saputo comprendermi e ho avuto il supporto di chi mi stava vicino. Ho quindi deciso di provare quel tanto “odiato” microinfusore, con il suo piccolo sensore.
Sinceramente? Li ho odiati, ci ho messo tanto tempo ad abituarmi e ad accettarli, ma ora non potrei davvero farne a meno. Mi sento in pace con me stessa, serena, orgogliosa di questo micro, soddisfatta del mio andamento glicemico, ma soprattutto con un peso psicologico nettamente inferiore.
Il microinfusore ha dato una sterzata al mio modo di vivere e di pensare con il diabete. Quel qualcosa in più che dovevo fare per stare bene, era tornato ad essere accettabile, proprio come quando ero una bambina. Non mi sono più sentita sopraffatta e ho capito delle cose molto importanti, che spero possano dare una mano anche a voi:
Non è sempre facile prendersi cura di se stessi, ancora di più quando si ha una patologia cronica. Ma tutti affrontano delle difficoltà, e per ogni persona esiste qualcosa di complicato, non siete soli. È raro non sentirsi diversi quando sembra che gli altri non debbano fare gli stessi sforzi che devi fare tu, ogni giorno.
Ma tutti facciamo degli sforzi, di diversa portata forse, e in diversi contesti della vita. Anche qui, non siete soli.
Ed è difficile non farsi definire dal diabete quando te lo ritrovi tra i piedi costantemente. Ma non ci definisce. Il diabete mi ha inoltre dato la possibilità di lavorare “per” il diabete, raggiungendo un’aspirazione che coltivavo da tempo, di trovare un ruolo che mi appassiona e mi permette di regalare tutti i giorni alle persone la mia empatia. Ho sempre provato a vivere questa patologia come una sfida, come un’opportunità, come qualcosa che mi potesse dare una marcia in più rispetto agli altri. Non vivetelo in nessun momento come una condanna, non lo è…
E date una chance alle soluzioni tecnologiche oggi disponibili, perché se darete loro spazio nella vostra vita, sono certa che diventeranno fedeli amiche (abbiate fiducia, ve lo dice una che ha cominciato con le siringhe e senza sensori!).
Poi chissà, magari potrete aiutare anche altri a fare la stessa scelta affrontandola con serenità. Siate d’ispirazione a voi stessi e agli altri, non mollate, avete tutti gli strumenti intellettuali, emotivi e tecnologici per vivere pacificamente con il vostro coinquilino Diabete.
Cami
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